Il potere della moltitudine. L'invenzione dell'inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento
Cosa muove l'imprevedibile azione delle 'masse' e quali sono le motivazioni profonde che in alcune, eccezionali stagioni spingono gli individui a compiere atti eroici completamente disinteressati o crimini efferati, all'apparenza del tutto irrazionali? Ciclicamente riproposto dalla storia e dall'attualità, questo interrogativo fu al centro di una breve ma prolifica stagione teorica che, nel clima dell'Italia 'fin de siècle', salutò l'avvento dell''era delle folle'. Sebbene la fama della psicologia delle folle sia legata soprattutto al nome di Gustave Le Bon, pionieri di quella effimera ma tutt'altro che irrilevante avventura intellettuale furono alcuni studiosi italiani raccolti attorno alla contestata figura di Cesare Lombroso. L'indagine qui proposta ricostruisce per la prima volta in modo completo le modalità con cui essi iniziarono a interpretare i fenomeni di conflitto sociale e politico come testimonianze di reversioni atavistiche, e le tappe che diedero origine alla teoria della 'fermentazione psicologica', di cui Scipio Sighele avrebbe tratto le conseguenze. Armati di un bagaglio teorico nel quale si fondevano antropologia, psichiatria, sociologia e teoria politica, questi autori cercarono di spiegare l'origine inconscia del potere delle moltitudini, fornendo risposte che, per quanto possano apparire datate, esploravano questioni decisive, purtroppo trascurate dalle odierne scienze sociali. Gli psicologi di fine Ottocento riconobbero infatti la realtà e l'importanza di quella dimensione dell'agire collettivo non riconducibile alla razionalità strumentale, e intuirono che si trattava di un legame controllabile e disciplinabile, ma di fatto ineliminabile e capace di sconvolgere il ferreo ordine della civiltà. Ricostruendo un itinerario che, dalle prime raffigurazioni romanzesche dei tumulti, giunge alle ipotesi di Ferri, Sergi e Sighele, al fitto dibattito con gli esponenti francesi della disciplina e, infine, alle sintesi di autori minori come Paolo Orano e Pasquale Rossi, Damiano Palano mette in luce come tali autori, lungi dal tradire il puro sgomento per l'avvento delle masse, delineassero una comune strategia interpretativa dell'azione politica e, più precisamente, della 'politica assoluta'. Raffigurando nella folla l'estrema e totale minaccia all'ordine politico europeo e riconducendo i moventi delle sue azioni alle profondità misteriose dell'inconscio, la psicologia collettiva costruiva una precisa immagine delle logiche del conflitto. In altre parole, 'inventava' quella figura ambivalente dell'inconscio collettivo cui il Novecento avrebbe guardato con orrore e con attrazione.
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