Storie di miracoli buddhisti. La recitazione del Sūtra del Loto nel buddhismo coreano
La prospettiva del miracolo per chi si trova in situazioni di difficoltà estreme e della ricompensa ultraterrena per chi continua a mantenere la fede in ogni frangente è un topos comune a molte religioni e culture. Il “Pophwa yonghomjon” (‘Racconti miracolistici del “Sūtra del Loto’”) è la raccolta di centodiciotto storie, compilata in Corea dall’altrimenti sconosciuto monaco Yowon alla fine del periodo Koryo (918-1392) e incentrata sulla fede nel potere supremo del Buddha, che premia, consola e scaccia gli spiriti malvagi attraverso l’opera dei ministri del suo culto. Il testo, che attinge a fonti cinesi e coreane molto più̀ antiche, viene qui tradotto per la prima volta in Occidente ed è un esempio emblematico della ricchissima, ma ancora poco conosciuta, letteratura agiografica del buddhismo. L’opera, evocativa di immagini e circostanze che potremmo definire ‘dantesche’, era destinata a restituire fede e speranza al popolo di una Corea allora in gravissima crisi politica, ideologica e istituzionale. Ciò̀ che accomuna i vari racconti è la fede nel “Sūtra del Loto” o, più̀ estesamente, “Sūtra del Loto della Buona Dottrina” (Saddharmapundarīka-sūtra), celeberrimo classico del buddhismo mahāyāna composto in varie fasi probabilmente durante l’impero Kushana, tra il I e il II secolo. Verso il 286 fu tradotto per la prima volta in cinese e presto divenne in Estremo Oriente un’autentica scrittura salvifica, capace di elargire ricompense ultraterrene con la sua sola devota recitazione. Intorno a esso fiorì una congerie di racconti didattici ed edificanti ad usum populi, volti a risvegliare la mente e a guidare i perplessi sulla retta via del Dharma. Si tratta di un documento unico e prezioso non solo per la storia del buddhismo coreano, ma per tutti i cultori delle religioni e delle filosofie dell’Estremo Oriente.
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