Le variazioni Goldberg di Johann Sebastian Bach
Con la sua ineguagliata conoscenza e intima dimestichezza, sia come studioso sia come esecutore, con la letteratura musicale per tastiera del seicento e del settecento, Williams si è trovato in una posizione unica per collocare storicamente questa mitica opera di Bach in un contesto molto più ampio di quello offerto dagli storici e musicologi che se ne sono occupati: il contesto delle pratiche tastieristiche cresciute e prosperate in Europa tra il 1600 e il 1750, con tutte le peculiari convenzioni, tratti idiomatici e sfumature che le hanno connotate, da Frescobaldi a Philipp Emanuel Bach. Ma se Williams dimostra come Bach avesse presenti tutte queste tradizioni, dalle più antiche alle più recenti, le conoscesse perfettamente e interagisse con esse nella sua composizione delle “Goldberg”, tuttavia non perde mai d’occhio la misteriosa bellezza, la profondità e l’unicità di quest’opera bachiana, anche nel panorama della musica di Bach stesso. E non cessa di interrogarsi, perciò, sulla natura di quella bellezza e su ciò che ce la rende così manifesta, così inevitabilmente percepibile. Né dimentica che l’ammirazione per la strabiliante ingegnosità contrappuntistica delle “Goldberg”, sebbene ineludibile, potrebbe sviare rispetto a delle qualità più sfuggenti dell’opera: ad esempio, il suo tono particolare che la rende riconoscibile anche da una sola battuta udita di sfuggita, o la misteriosa proprietà che le “Goldberg” hanno di trasportarci in un mondo sonoro a noi non familiare ma nemmeno oscuro, qualcosa di inesprimibile e di sconcertante. “Credo – dice l’autore – che quest’opera sia sentita come ‘speciale’ perché, qualunque antecedente abbia questo o quel suo aspetto specifico, la sua bellezza è al contempo originale come poca altra musica, anche di Bach, e allo stesso tempo afferrabile, comprensibile, coerente, fondata su armonie semplici e ‘vere’”.
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