Il monaco errante. Un viaggio nei bardo del vivere e del morire
Una sera di giugno del 2011 Mingyur Rinpoche si allontana dal suo monastero di Bodh Gaya senza avvisare nessuno. Lascia soltanto una lettera, destinata ai suoi studenti e al suo anziano assistente, Lama Soto. "Quando leggerai questa lettera, avrò già iniziato il lungo ritiro che l'anno scorso avevo annunciato di voler intraprendere. Come forse saprai, sono sempre stato affascinato dall'usanza dei ritiri, fin da quando ero un ragazzino e vivevo alle pendici dell'Himalaya. Anche se non sapevo ancora meditare, spesso scappavo da casa e mi nascondevo in una grotta nelle vicinanze, dove mi sedevo in silenzio e recitavo mentalmente il mantra om mani padme hum. Anche allora sentivo il richiamo dell'amore per le montagne e per la vita austera degli asceti erranti". Ha così inizio un vagabondaggio che durerà quattro anni, nei quali Mingyur si confronterà per la prima volta con il mondo esterno senza godere degli onori riservati a un monaco della sua levatura. Dismettere i panni tradizionali per indossare quelli del sa-dhu non sarà semplice, ma permetterà al vagabondo di entrare in contatto con i sei bardo, le tappe del viaggio fra la vita e la morte, consentendogli di riconoscere con sempre maggiore chiarezza la realtà incondizionata. Una comprensione che passerà anche attraverso il corpo, segnato dagli stenti. Infatti, solo lasciando andare le false speranze che inducono a desiderare di essere a proprio agio nel corpo e nel mondo si può superare l'insoddisfazione e sostituire il desiderio con l'amore. E, come afferma Mingyur, "quando ami il mondo, anche il mondo ti ama". Per la comprensione però la pratica è fondamentale, e questo libro è un invito a coltivare i semi dell'illuminazione, a rendere fertile il campo della consapevolezza, permettendo ai livelli più profondi della saggezza di fiorire.