Il ministro della mala vita
Gaetano Salvemini (1873-1957), intellettuale originale, storico di valore, politico impegnato e antifascista della prim'ora, è uno di quei «padri della patria» che troppo presto abbiamo dimenticato. Mai come ora, invece, le sue parole risuonano chiare, pur a distanza di cent'anni, in un contesto certamente mutato, ma che richiama impressionanti echi di un passato terribile. Socialista meridionalista, amico e rivale di Turati, divenne rapidamente, ancora giovane, un punto di riferimento della storiografia italiana. All'avvento del fascismo si schierò immediatamente tra gli oppositori del regime, legando particolarmente il suo pensiero con quello dei fratelli Rosselli e di Ernesto Rossi e fondando con loro Giustizia e Libertà. Incarcerato nel 1925 per la pubblicazione del foglio clandestino «Non mollare», riparò in Francia, poi in Inghilterra e infine negli Stati Uniti, dove divenne docente alla Harvard University per due decenni. Dobbiamo a lui una delle più lucide analisi sulle origini del fascismo. I due libri che Bollati Boringhieri ripropone ora in tascabile, proprio per rendere il pensiero di questo intellettuale il più possibile visibile al pubblico contemporaneo, appartengono a due stagioni molto distanti della vita di Salvemini.