Te lo dirò un'altra volta

Te lo dirò un'altra volta

"Ora ti racconto dei 1941" dice Avigdor Arikha alla figlia, camminando nervosamente su e giù per l'appartamento vuoto. "Ascolto" replica la quindicenne Alba. Trattenendo il fiato. Perché non è facile convincere il collerico, irruente padre a parlare delle vicende tormentose che hanno segnato la sua vita di bambino ebreo, prima in Romania e poi durante la marcia nell'inverno ucraino verso un campo di concentramento. Nemmeno Pepi, la nonna israeliana dagli occhi sempre lucidi di lacrime, parla mai di quel tempo. Nel grande appartamento parigino frequentato da Samuel Beckett, Henri Cartier-Bresson e numerosi altri artisti, l'ultima guerra del secolo breve è un tema bandito dalla conversazione. Avigdor è un pittore affermato, e la rabbia che ha dentro, quando non si riversa sulla moglie e sulle figlie, appare nei disegni e sulle tele, nei ritratti impietosi di personaggi noti, oppure diventa imprevedibile furia alle note di una canzone pop. Alba, appassionata di musica, brava pianista, cresce cercando di capire, ribelle contro l'atmosfera di casa sua, decisa a penetrare la barriera che separa suo padre da lei e dal mondo, ad abbatterla costringendolo a ricordare. Ma all'improvviso Avigdor tace... E il duello padre-figlia continua, fino a quando la ragazza non riuscirà a ricomporre il quadro della diaspora di famiglia attraverso le vicende di ciascun parente, prossimo o lontano per sangue o geografia, trovando così identità e sicurezza.

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