Arte in Italia tra le due guerre
Sino a oggi l'arte italiana del Ventennio non ha trovato una storiografia adeguata. Nel dopoguerra, e per decenni, si sono salvate prevalentemente figure singole e scuole ritenute - talora con palese forzatura - frondiste e marginali, retrodatandone artificiosamente il tardivo antifascismo. Così un duplice torto si è consumato ai danni di una stagione figurativa di altissimo livello: sotto attacco, negli anni trenta, da parte delle frange più retrive e autarchiche, che inveivano contro i più rancidi prodotti del così detto "modernismo", ossia "la malattia esterofila, la tubercolosi deformista, il gonococco astrattista e lo spirocheto novecentista", ha patito in seguito la strategia silenziante di una vulgata che la sviliva, con analoga intenzione di azzeramento, a esclusiva arte di regime. Fabio Benzi, tra i maggiori studiosi di quel periodo artistico, si libera dei clichés più usurati e mistificatori e in un saggio di svolta riscrive daccapo l'intera vicenda. Nel quadro che ricompone davanti a noi, corredato di un'antologia di testi teorici e di una ricca iconografia, tutto acquista nitore, protagonisti e comprimari, opere e idee, mostre e manifesti programmatici, movimenti e poetiche di gruppo, mentre risalta la loro statura internazionale e viene in luce la capacità della politica culturale fascista di metabolizzare avanguardie in lotta reciproca. I cultori di un realismo didascalico o di una "anemica" pittura da cavalletto vennero oscurati dal giganteggiare di espressionismo, astrattismo, futurismo.