Tra psiche e cultura. Elementi di etnopsichiatria
L'identità è esposta oggi a rischi opposti e complementari, all'irrigidimento delle appartenenze da un lato e alla deculturazione dall'altro, ossia alla caduta nell'aspecifico, alla perdita dei vincoli che la mettono in grado di 'riparare' le proprie crisi. Se nella malattia chiunque fa esperienza di questa lacerazione delle connessioni attive che costituiscono il plesso identitario, la condizione di migrante potenzia lo spaesamento, di fronte al quale i protocolli teorico-pratici della psichiatria, della psicologia e della psicoanalisi si rivelano inadeguati. Restituire psiche e cultura alla trama inscindibile che le unisce diventa allora il compito di una disciplina di confine, l''etnopsichiatria', che 'comincia là dove il terapeuta è consapevole del gradiente culturale che lo separa dal paziente' e decide di muovere proprio dalle linee di frattura, dagli interstizi tra alterità per 'trovare vie che permettano di passare dall'io al noi, di inserire peripezie individuali in storie collettive'. Non si tratta - in omaggio ai regimi di ibridazione in cui siamo immersi - di allestire una psichiatria 'culturalmente sensibile', bensì di renderla avvertita, insieme con le discipline affini, delle determinanti culturali che porta con sé (appartenere a 'un' popolo, risultare da 'una' storia): solo così è possibile confrontarsi e interagire, su basi non confusive, con nosografie, psicoterapie e saper-fare altri.