Gadda e il barocco
"Il grido-parola d'ordine "barocco è il G.!" potrebbe commutarsi nel più ragionevole e più pacato asserto "barocco è il mondo e il G. ne ha percepito e ritratto la baroccaggine"". La celebre apologia con cui Gadda nel 1963, in apertura alla "Cognizione del dolore", diede conto della sua presunta "manìa baroccòfila" instrada e insieme svia chi voglia cogliere il senso di quella compulsiva esorbitanza, di quello stile dissipato e avviluppante, di quello spettacolo linguistico senza pari. "Per capire il barocco di Gadda - scrive infatti Dombroski - occorre tener presente il presupposto, cui l'autore stesso ha dato formulazione, di un universo costituzionalmente barocco, rifiutando nel contempo ogni approccio teso a veder realizzata nei testi la mera riproduzione mimetica di quell'universo". Le forme dell'eccesso, quali la deformazione grottesca, il groviglio delle azioni narrative, l'uso espressionistico del dialetto, la "morte caricaturale" dell'io celebrata in ogni pagina, non hanno valore di compiaciuto ornamento né sono adibite a 'rappresentare' la complessità del reale, ma rispondono al canone 'allegorico' tipicamente barocco che il poststrutturalismo ha riaccolto nel vivo del dibattito estetico.
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