La giudeofobia in Russia. Dal Libro del «Kahal» ai Protocolli dei Savi di Sion
Quando, nella Russia postsovietica, il risorgente nazionalismo ha ridato parola e aggressività a umori manifestamente antisemiti, si è valso di una 'tradizione' locale mai del tutto interrotta. In opere recenti si riaffaccia la tesi sempreverde del complotto giudaico-massonico, quella stessa che agli albori del Novecento destinò i "Protocolli dei savi di Sion", il sedicente piano ebraico di 'asservimento dell'umanità da parte della stirpe di Giuda', a una diffusione mondiale seconda solo alla Bibbia. Ritenuti subito un falso dalla destra russa più avvertita, sui "Protocolli" oggi si sa l'essenziale, date di stesura, attribuzione, circostanze politico-culturali, genealogie letterarie. De Michelis, che ne ha stabilito l'appartenenza agli ambienti moscoviti delle 'centurie nere' - contro l'ipotesi, fino ad allora prevalente, di un'origine parigina - e li ha datati al 1902-03, qui ne disegna preistoria e contesto, e li ripubblica insieme con testi affini in parte inediti, mostrando la piena 'russità' degli sfondi ideologici e dei tratti dominanti, al di là delle comunanze riscontrabili con la larga 'koinè' antisemita che si andava allacciando nell'Europa del tempo. E' russa la giudeofobia, variante dell'antisemitismo che affonda in mitologemi tipici della tradizione slavo-ortodossa; è russo l'ibrido tra letteratura d'invenzione e pubblicistica politica, su cui prospera la subcultura dell'apocrifo. Prima di trionfare con i "Protocolli", il malcostume di spacciare 'pamphlets' accusatori per materiali interni all'ebraismo, quindi accreditati di valore documentale, fa le sue prove nella seconda metà dell'Ottocento: si saccheggiano romanzi, si fingono rapporti di polizia, si distorcono fonti autentiche.