Il mito del cannibale. Antropologia e antropofagia
L'idea dell'esistenza del cannibalismo appena oltre i confini della propria cultura (tra le popolazioni "primitive" si dice che i mangiatori di uomini abitano al di là della montagna o più giù lungo il fiume) è antica e universalmente accettata nonostante una documentazione per nulla probante. Passando con sicura padronanza dal mondo preistorico all'impero azteco, alle culture africane e nella Nuova Guinea, Arens dimostra come tale credenza in un cannibalismo universale, distinto da pratiche rituali o di sopravvivenza effettivamente osservate, rappresenti un mito di cui si servono i membri di un gruppo per rivendicare il proprio diritto al monopolio della cultura e giustificare l'emarginazione o addirittura l'eliminazione del "diverso". Un mito che, paradossalmente, nelle moderne società occidentali è stato sostenuto e alimentato con l'avallo di quella istituzione scientifica specializzata che è l'antropologia. Cosicché - questa la radicale conclusione cui perviene l'autore - interrogarsi oggi sulle origini e sul significato del mito del cannibale significa mettere in discussione la funzione stessa dell'antropologia e delle scienze umane in generale quali sistemi ideologici. In tal senso il provocatorio saggio di Arens, mentre offre una insostituibile rassegna critica su una controversa questione scientifica, illumina i presupposti e i meccanismi di costruzione delle idee relative alle altre culture, esplorando un capitolo cruciale della storia dell'etnocentrismo europeo.
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