Kierkegaard

Kierkegaard

"Quello che soprattutto mi importa - scriveva Jesi al suo editore - è avere un fronte di lavoro organico e lasciarlo maturare organicamente in tutte le direzioni, compresa quella del caso". Ed ecco, esempio di una contingenza particolarmente fausta, il libro su Kierkegaard, "a cui non pensavo, ma che covava da anni: almeno dal 1959, in cui avevo scelto una (sua) frase come epigrafe per un saggio di etnologia 'professionale'". Jesi torna così all'autore delle sue prime letture filosofiche e, privilegiando il tema della ripetizione e della ripetibilità, ne evidenzia i profondi legami con il pietismo e i più singolari rapporti con la mistica braica del seicento, specie con l'antinomismo messianico di Shabbetaj Zevì; ma in questo, egli segue anche da vicino, nel movimento della propria scrittura, l'itinerario didasttico proposto da Kierkegaard stesso al "buon lettore". Karoly Kerenyi aveva aperto una breve memoria della sua vita con le parole: "Uomo, non dire mai 'io'!" Fedele a questa divisa, Jesi compone uno dei suoi libri più importanti, e lo costruisce come l'opera del più abile "falsario": come una monografia che si attiene al soggetto nella maniera più rigorosa, ne illumina i tratti fino al dettaglio, si fa suo calco preciso e sottile, ma, al contempo, si rivela un sorprendente autoritratto.
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