Il tempo che resta. Un commento alla Lettera ai romani
Se è vero che ogni opera del passato giunge alla piena leggibilità solo in determinati momenti della sua storia, per le 'lettere' di Paolo l'ora sembra venuta. A uno dei testi più commentati della tradizione occidentale Agamben restituisce quel rango messianico che solo può riorientare la prospettiva di una interpretazione ormai bimillenaria. Paolo non fonda una 'religio' dell'universale, non annuncia una nuova identità e una nuova vocazione, ma revoca ogni identità e ogni vocazione; non abolisce la Legge, ma la dispone a un uso che si colloca al di là di ogni diritto. Cuore del messianismo - dall'evangelo paolino fino alla tesi "Sul concetto della storia" di Benjamin, che talora ne nascondono gli splendidi calchi - è una esperienza del tempo affidata all'inversione del rapporto tra passato e futuro, tra memoria e speranza.Come 'tempo di ora', segmento di tempo profano teso fra la resurrezione di Gesù e l'"echaton" apocalittico, il tempo messianico si costituisce in figura stessa del tempo presente, di ogni presente. Sul canone di 'ricapitolazione vertiginosa' che appartiene al messianico è modellato anche l'andamento del libro di Agambern: una sapienza esegetica da biblista si trasforma nelle illuminazioni del filosofo che interroga Paolo a partire da Schmitt, Kafka e Scholem, e che sa cogliere nella parola paolina, attraverso Lutero, la ascendenze concettuali della dialettica hegeliana.