Polemos. Filosofia come guerra

Polemos. Filosofia come guerra

"Se si fa attenzione alla sua essenza, la filosofia non progredisce affatto. Essa segna il passo sul posto, per pensare sempre la stessa cosa". La sentenza di Heiddeger rivela l'icongruità del prestare alla filosofia l'idea di sviluppo. E' proprio nella radicale contemporaneità di ogni pensiero che accade invece di contendere-dell'uno-con-l'altro a cui è legato i nostro destino: non il confronto bonario, l'inoffensivo gioco confutatorio già stigmatizzato da Hegel, ma la contrapposizione fuori di metafora, ossia pòlemos, bellum, Aus-einander-setzung - in una parola, guerra. Dal frammento di Eraclito secondo cui la guerra "di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re" alla drammaturgia socratica di Platone, dove si viene sfidati alla riflessione come "i cavalieri in campo aperto", fino al dettame di Nietzsche che prescrive di "fare filosofia con il martello" e al Kampf heideggeriano, la linea della belligeranza attraversa il pensiero occidentale. Perché costitutivamente 'polemica' è la cosa stessa, e la verità che vi si riferisce: il conflitto preesiste ai confliggenti, li genera in quanto tali. Curi ridà profondità di campo, insieme storica e teoretica, al concetto di polemos. Coglie nella stessa 'differenza ontologica' di Heidegger quella controversità dell'essere che per Eraclito, "il più originale e profondo dei pensatori greci", e per il Platone in certo modo eracliteo dei grandi dialoghi agonistici - il "Sofista" e il "Teeteto" -, produce forma, anziché disgregazione. Dopo duemilacinquecento anni, filosofare è ancora "eracliteggiare".
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