Vedutisti e viaggiatori tra Settecento e Ottocento
Da quando, con l'età elisabettiana, il viaggio in Italia entra di diritto nella formazione delle classi dirigenti europee, marine e città, vallate e rovine riempiono innumerevoli carnet di disegni, tele e incisioni, oltre che diari, resoconti, corrispondenze. «A un tempo Parnaso, Campi Elisi e terra delle Esperidi», l'Italia offre allo sguardo dei tourists - siano nobili o ricchi borghesi da affinare, artisti o letterati in veste professionale - la mutevolezza della natura e la grandiosità dell'antico, già avviate a fissarsi in icone esportabili. Il maggiore studioso italiano del Grand Tour raccoglie qui nuovi capitoli di questa storia di viandanti d'eccezione e di ritrattisti di vedute, sul duplice tracciato degli itinerari e del modo di raffigurare paesaggi urbani e naturali. Il canone topografico Roma-Napoli-Venezia si arricchisce di mete prima eluse (è il caso di Firenze, che solo nell'Ottocento sarà in auge, e non per tutti, se potrà apparire ancora a Zola «di amabile inconsistenza»), e la stessa città mostra a distanza di tempo volti alterni: la Roma classica di Goethe non è il gioiello medievale che Gregorovius cerca inutilmente di sottrarre alla devastazione di fine Ottocento, la Napoli di Papworth espelle il pittoresco a favore della modernità neoclassica. Il vedutismo, nel Settecento genere emergente, con Thomas Jones predilige scorci anomali come muri e suoli campani, mentre viene rivoluzionato da Canaletto, Bellotto e Guardi, che reinterpretando la Serenissima destinano le «venete magnificenze» a enorme fortuna.
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