Scrittori contro la politica
"Quello che ho maggiormente cercato di fare negli ultimi dieci anni è stato di trasformare la scrittura politica in un'arte": il compito impossibile che George Orwell aveva deciso di assegnarsi proprio quando la politica gli sembrava soltanto "una massa di bugie, di scuse, di sciocchezze, di odio e di schizofrenia" rappresenta ancor oggi un esempio prezioso e una necessità. La parola 'impegno' suona ormai come una nota falsa. Ma la prosa pubblica migliore e più efficace di questo secolo ha coinciso paradossalmente con l'asciutta chiarezza di una scrittura che ha sempre rifiutato di lasciarsi strumentalizzare dal potere, di farsi incantare dal gergo della politica e della forza. George Orwell, Albert Camus, Carlo Levi, Nicola Chiaromonte, Hannah Arendt, Dwight Macdonald sono accomunati da un medesimo stile: sono scrittori politici che scrivono contro la politica. Prigionieri della solitudine innamorati della pluralità, si esprimono senza certezze precostituite, ideologie, cliché. Intendono sottrarsi a un destino ingombrante senza chiudere gli occhi. Il tratto più intenso e originale di queste esperienze di pensiero, del loro costante confronto con la storia, con gli altri, con se stessi, sta in questa scelta di campo per l'integrità, nella difficile fedeltà a un certo modo di essere e di guardare il mondo, nella tenace volontà di ricostruire senza consolazioni e ipocrisie un rapporto con l'innocenza anarchica dell'infanzia, con le radici profonde di una rivolta necessaria.
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