Il mito di Hitler
Pochi leader politici del Novecento, forse nessuno, hanno goduto presso il loro popolo di un favore maggiore di quello di Hitler nei dieci anni successivi alla sua presa del potere nel 1933. Ma non bastano la personalità di Hitler e le sue ossessive fissazioni ideologiche a spiegare lo straordinario magnetismo che egli esercitava sulle masse; le radici di questa immensa popolarità vanno cercate piuttosto in coloro che lo adoravano, nelle loro speranze e percezioni. Kershaw sposta quindi la sua attenzione da Hitler alla costruzione della sua immagine e alla ricezione di tale immagine da parte della popolazione tedesca. Maestri nelle nuove tecniche propagandistiche, i nazisti le usarono facendo leva sulle opinioni, sui pregiudizi e sulle paure esistenti, terreno fertile su cui il culto del Fuhrer poté attecchire. Nella prima parte, il libro ripercorre la creazione e lo sviluppo del "mito di Hitler" dal 1920 al 1940, dimostrando come esso fosse indispensabile al nazismo: Hitler "Fuhrer della Germania futura" durante la Repubblica di Weimar, Hitler "simbolo della nazione", Hitler "Fuhrer senza peccato", Hitler grande statista e così via, fino alla guerra. La seconda parte ne esamina il crollo dopo il culmine raggiunto nel 1940-44, crollo comprensibilmente legato alle vicende belliche e al disastro finale. Un ultimo capitolo si occupa dell'immagine di Hitler e della questione ebraica. Le conclusioni cui giunge l'autore nella sua analisi della "deificazione" del Fuhrer contengono un messaggio inquietante: l'ammirazione nei confronti di Hitler non si basava tanto sui princìpi dell'ideologia nazista quanto su valori sociali e politici, spesso distorti o rappresentati in forma estrema, condivisi e riconoscibili anche in società diverse dal Terzo Reich.