Al lavoro nella Germania di Hitler
Questa ricerca avviata dieci anni fa con il contributo della Hamburger Stiftung fur Sozialgeschichte des 20. Jahrunderts, si occupa di un aspetto poco noto dei rapporti tra Italia e Germania nel periodo immediatamente precedente la seconda guerra mondiale e nel corso di essa. Si tratta dell'emigrazione di alcune centinaia di migliaia di italiani che alla fine degli anni trenta e durante il conflitto vanno a lavorare in territorio tedesco, in base ad accordi stipulati tra le due potenze dell'Asse. Per il governo fascista questa emigrazione rappresenta un toccasana per la sua fallimentare politica economica ed è usata per attutire gli effetti della sottoccupazione endemica, nonché per trarre i benefici che le rimesse degli emigranti costituiscono per la bilancia dei pagamenti italiana. Anche i nostri contadini, edili, operai dell'industria, che vanno in Germania con contratti collettivi a termine e con previse garanzie, mostrano almeno inizialmente di apprezzare le opportunità loro offerte: oltre ai vantaggi economici non va sottovalutata la possibilità di entrare a contatto con una società tecnologicamente avanzata e più libera. Ma con lo scoppio della guerrra le cose cambiano, il cibo scarseggia, le condizioni di vita peggiorano drasticamente, i rapporti con la popolazione tedesca si deteriorano e il malcontento e la ribellione si diffondono e con essi il desiderio di tornare a casa ed anche, talvolta, un'embrionale presa di coscienza antinazista e antifascista.Tutti questi temi e altri ancora vengono affrontati da Cesare Bermani con un'indagine condotta principalmente su fonti orali, o indirette dei protagonisti, abilmente intrecciate al materiale documentario tradizionale.
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