L'oblio dell'aria
Martin Heidegger ha lasciato la terra il 26 maggio 1976. Alcuni giorni dopo la sua morte, ho incominciato a scrivere "L'oblio dell'aria". Volevo, dovevo rendere omaggio al filosofo per la luce che mi ha trasmesso senza nessun obbligo, tranne quello del pensare. Salvaguardare un cammino, richiede proseguirne l'apertura, non ripeterne l'aperto verso una fine già raggiunta. Meditando sull'essere, ho scoperto che la sua custodia esige uno sdoppiamento. L'uomo, solo, non può essere il guardiano dell'essere, in quanto la sua vigilanza suppone un certo dominio della natura e del linguaggio che paralizza il lasciar-essere. Inoltre l'essere viene allora pensato come memoria e cultura della vita che hanno già nientificato la sua linfa, la sua crescita, il suo divenire. L'essere si trova già determinato nell'orizzonte della morte. Concepire l'essere come due - l'essere dell'uomo e l'essere della donna - sposta e sdoppia il tracciato del limite di un mondo dove stare, vivere, pensare. Ciascuno si salvaguarda o salvaguarda l'altro, ciascuno si salvaguarda, salvaguardando l'altro. Si inaugura così una dialettica fra la custodia dell'essere e quella del lasciar-essere, nella quale il rigore del pensiero asseconda lo sbocciare della 'physis', nella sua dinamica, nel suo soffio.
Momentaneamente non ordinabile