Il corpo della donna come luogo pubblico. Sull'abuso del concetto di vita
Questo libro, che reagisce senza forzature polemiche alla retotica sulla "Vita" sviluppatasi nel quadro del dibattito sull'aborto, intende analizzare le condizioni in cui, nel corso di una generazione, nuove tecniche e forme di espressione hanno completamente mutato il modo di concepire e vivere la gravidanza. Nel giro di pochi anni, infatti, il bambino è diventato un "feto", la donna incinta un "sistema uterino di approvviggionamento", il nascituro "una vita" e la vita "un valore cattolico- laico" quindi onnicomprensivo. Storica delle donne, con alle spalle rigorose ricerche sul vissuto del corpo femminile nel secolo XVIII, l'autrice si limita a sostenere la tesi, elaborata anche nel corso di un'interrotta conversazione con Ivan Illich, secondo cui il feto intrauterino del quale oggi tutti parlano non è una creatura di Dio o della "natura", bensì della società moderna. E le domande sono: in che modo artificiale è nato questo feto? Perchè la donna incinta è diventata l'ambiente uterino per l'approvvigionamento di un feto? Perchè le donne, in base a erronei ragionamenti scientifico- popolari e a prediche pseudotradizionali servono quella vita della quale credono di doversi assumere la "responsabilità"? Perchè l'acquisizione del feto priva la donna del proprio corpo e la degrada al ruolo di cliente bisognosa non soltanto di assistenza, ma anche di consulenza?
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