Mia madre

Una madre volitiva ed energica, insopportabilmente fedele al suo perbenismo vittoriano, eternamente in bilico fra il rimpianto nostalgico della lontana Inghilterra e la coraggiosa dedizione agli impegni familiari e all'organizzazione del lavoro, domina il racconto autobiografico di una vicenda che ha inizio all'indomani della Prima guerra mondiale e si snoda poi lungo i percorsi difficili di un'immigrazione vissuta nell'inutile attesa di un decollo economico. Della figura della madre l'autrice sa offrire un ritratto lucido e disincantato, attraverso il sofferto tentativo di superare l'ambiguità di un rapporto caratterizzato da forti tensioni e polarità emotive: rabbia e tenerezza, rifiuto e comprensione, rivolta e sottomissione. L'uomo a cui la madre ha legato il suo destino rappresenta per molti versi il suo opposto speculare. La figura del padre, la cui sola forza sembra essere la sua costitutiva 'debolezza' nei confronti della vita, sarà costantemente il contrappunto ironico della figura della madre: quanto questa è attiva, ricca di senso pratico e in perfetta sintonia col vittorianesimo sociale della sua epoca, altrettanto il padre si rivela insofferente di ogni prescrizione sociale, insieme sognatore e fatalista. Nel 1919, subito dopo il matrimonio, lascerà il suo sicuro impiego in banca per intraprendere l'avventura coloniale, prima in Persia e successivamente in Rhodesia, cercando nella solitudine della vita rurale la liberazione dai riti sociali della media borghesia londinese. L'articolazione scarna, tenacemente essenziale della memoria personale dell'autrice sa elevarsi senza forzature a ritratto di un'epoca: nell'inconciliabile asimmetria del loro rapporto, il padre e la madre riflettono le contraddizioni della vicenda coloniale e le ragioni del suo declino.