Ricordi di Questura (1882)
«È il popolo che odia la polizia! Sì l'odia, e con ragione»: così Federico Giorio, nel suo scritto "Ricordi di Questura", edito a Milano dalla Tipografia Artistica nel 1882 e ripubblicato a cura di Marco Soresina, sintetizza il sentimento di fondo che pervade tutto il pamphlet: la ferma denuncia contro l'immoralità della polizia, contro una serie di pratiche comuni nelle questure d'Italia tra anni Sessanta e Ottanta dell'Ottocento. Per farlo, l'autore si serve della narrazione di un cospicuo numero di "fatti" (alcuni veri, altri presunti e privi di validi indizi probatori), racconti di violenze e umiliazioni a cui venivano sottoposti gli arrestati, allo scopo di testimoniare l'uso arbitrario e discrezionale delle leggi da parte dei poliziotti e denunciarne l'ingiustizia, l'illegalità, la prepotenza e l'impunità. Il testo è preceduto da una riflessione storiconarrativa sulla variegata società cittadina tardo-ottocentesca e sulla sua evoluzione, ben rappresentata nella vivacità delle scene e dei quadri di vita dipinti nei "Ricordi di Questura". Il tono provocatorio e la prosa di Giorio, alternativamente moralistica, dissacrante, a tratti calata in un registro voyeuristico, sono indice del tentativo di suscitare la curiosità e fomentare un pubblico eterogeneo di lettori, di estrazione prevalentemente piccolo borghese, affascinato da vicende scabrose, crimini, scandali. Il risultato è un libro «sdrucciolevole per lo storico», che difficilmente si inscrive in una categoria univoca, sfiorando e, al contempo, discostandosi sia dalla memorialistica sia dal genere dei pamphlet politici.