I sette giorni di Avraham Bogatir
A un conflitto così drammatico e complesso come quello tra ebrei e arabi in Palestina possiamo forse avvicinarci meglio attraverso un romanzo. Ci sono cose che si capiscono più attraverso la storia di un uomo, i suoi sogni, le sue delusioni, le amicizie, le nostalgie, la descrizione della sua casa, della sua terra, di una torrida estate in cui, nel giro di pochi giorni, vengono al pettine i nodi intrecciati nel corso di una vita densa e avventurosa. Così è per questo romanzo che ci mostra, attraverso la storia di un colono ebreo russo emigrato in Palestina agli inizi del secolo, tutta la complessità di quel dramma: due popoli, ebrei e palestinesi, che si contendono da millenni quel pezzo di terra; la spirale repressione-terrorismo che cresce durante l’occupazione britannica e raggiunge il suo apice nei mesi (in cui si svolge il romanzo) precedenti la creazione d’Israele; il conflitto che fin dai primi anni della colonizzazione oppone i sionisti di sinistra (tra cui Bogatir, il protagonista del romanzo) ai nazionalisti che formeranno l’Irgun; la diversità della gente che formerà la nazione israeliana, chi proveniente dai lager nazisti, chi dal mondo medievale dello Yemen, chi dai ghetti e dai villaggi dell’Europa orientale dove convivevano giovani rivoluzionari e rabbini miracolosi.