L' orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano

L' orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano

«Sono seduta sull'amaca sospesa al trave della tettoia. Mi godo la pioggia obliqua di novembre. Sbuccio una melagrana. I chicchi si staccano rosso rubino e aciduli dagli alveoli biancastri. Il nespolo di Germania è picchiettato di frutti bronzei. Giacca e cappello d'incerata, stivali di gomma, davanti a me foglie fattesi luce. È la felicità.»«Pia fa spuntare sulla pagina i suoi ortaggi esattamente come spuntano dal terreno. Complice un azzeccato andamento diaristico (che presuppone una totale ignoranza di ciò che sta per accadere) la scrittura del libro è lo specchio fedele di quella che evidentemente è una specie di scrittura dell'orto» – Emanuele Trevi Quando ci siano fuori ad attenderci un orto o un giardino, non si vorrebbe far altro. è la pace. Un senso di pienezza. Quella beatitudine che fa assaporare il vento, le nuvole nel cielo azzurro, il pendio di una collina, uno scroscio di pioggia. Quasi si ha pudore di riconoscersi appagati per così poco. Più facile sfoggiare tutto quello che ci hanno condizionato a desiderare ma non è mai servito a renderci felici. Cedendo a un desiderio che aveva da sempre, quello di vivere in campagna, Pia Pera si trasferisce in un podere, dove si scopre analfabeta. Nel senso: non sa fare assolutamente niente. Ma non si scoraggia, anzi: intuisce che inizia lì l'avventura che la porterà a una terra sconosciuta, o meglio, alla terra. Occupandosi di alberi da frutta e ortaggi, impara a conoscere il mondo naturale, intreccia nuove amicizie, trova maestri che le trasmettono la loro esperienza. Soprattutto scopre una felicità che non aveva mai assaporato, prova il desiderio di raccontarla. Chissà se, avvertititi di questa felicità, ci accorgeremo di avere bisogno di infinitamente meno per sentirci appagati. Di essere più liberi di quanto crediamo, che invertire il senso di marcia, smettere di distruggere il nostro pianeta, sarebbe, dopotutto, possibile. Che coltivare il cibo che mangiamo, renderci il più possibile autonomi dal mercato, non sprecare, inquinare un po' meno è un modo degno di vivere e lasciar vivere. Cronaca di un apprendistato orticolo, L'orto di un perdigiorno si conclude con la dispensa piena ma soprattutto con un invito alla riconciliazione con la natura.
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