Sotta ûn çê ch'o sa de sâ. Sotto un cielo che sa di sale
Questo libro può essere letto, viaggiato, esplorato, e può essere un libro cantato, dove la voce che legge diventa musica. La lingua genovese sa trasformare facilmente la poesia in musica. La poesia spesso è un viaggio per ritrovare una identità. Alla ricerca di un noi e di un altro che ci legga, magari ad alta voce. Uno specchio e una guida. La sfida è ritrovare il senso delle origini, riappropriarsi della memoria, impadronirsi di nuovo della lingua di chi è passato prima di noi, ha solcato questo mare, lavorato e abitato questa terra. Qui. In Liguria. "Conta arregordi in sceo fî da memöia" (racconta ricordi sul filo della memoria), ma non lasciamo che la lingua genovese ci racconti solo il passato. Parliamola. Cantiamola. Usiamola per raccontare la nostra vita di oggi. Soltanto così, se la impastiamo con il quotidiano che ci scorre tra le dita, la faremo vivere ancora. Immagina una serata tra amici. Una festa. Un qualsiasi momento dove si sta insieme. Una voce incomincia a leggere. Un'altra prosegue. Un racconto e un ascolto corale. Parole ad alta voce per celebrare il tempo che viviamo insieme. In genovese. Come si faceva una volta. Prima che TV, PC e cellulari ci rinchiudessero nello spazio ristretto del nostro ego.