Italia-Francia, l'ultima notte felice
Cosa vuol dire che una partita di calcio è entrata nella storia? Quali tracce permanenti lascia davvero nella memoria qualcosa di così transitorio come un evento sportivo? Il risultato? Un coro da stadio senza parole? Lo sguardo febbrile di un terzino poco conosciuto che fissa il portiere avversario prima di tirare il rigore più importante del mondo? Zinédine Zidane piegato in avanti con la testa che aderisce al petto di Marco Materazzi, le due silhouette che si uniscono per un attimo come in una scultura? Stefano Piri racconta la finale del Mondiale 2006, Italia-Francia, come lo snodo dove si incrociano e si risolvono alcune delle narrazioni più potenti del calcio degli anni Zero. Quella paradossale di Zidane, ritornato in Nazionale dopo essersi ritirato perché voleva essere ricordato come un eroe. Quella emblematica e per certi versi religiosa della Nazionale italiana, che con la vittoria cancellò in un attimo i peccati di Calciopoli e di un movimento in realtà già in crisi da anni. Ma non saremmo onesti se ci limitassimo a canticchiare ancora una volta po-po-po-po-po-po-po senza riconoscere che quel trionfo del 9 luglio 2006 – con i caroselli per strada e la grande festa al Circo Massimo – è l’ultima notte felice d’Italia, il momento più luminoso di una stella che in realtà, al punto di origine, si era già spenta. Perché di una partita entrata nella storia come la finale di Berlino vale la pena raccontare quello che tutti ricordiamo, ma anche quello che abbiamo preferito dimenticare.