Neanche l'inferno risponde
Il nostro, per certi versi, è un mondo di rifugiati. Ogni giorno migliaia di persone si riversano sulle coste del Mediterraneo con tutta la loro vita racchiusa in uno zaino, alla ricerca di un approdo migliore. Che siano vittime di conflitti, perseguitati per motivi politici o religiosi, per le proprie idee o i propri orientamenti sessuali, spesso in fuga da una vita di miseria e degrado, sono diversi, sono tanti, forse troppi, e per questo fanno paura. L'impotenza delle istituzioni politiche, nazionali e internazionali, di fronte a un'immigrazione di questo tipo, caotica e inarrestabile, è palese. Ciò induce un'organizzazione segreta a impossessarsi di un piccolo naviglio da guerra e ad addestrare un equipaggio scelto con l'obiettivo di affondare i barconi dei migranti in rotta verso l'Italia. Nome in codice Orca blu. Le regole di ingaggio sono chiare: un affondamento ogni notte finché gli sbarchi non cesseranno. L'eco sui media non si fa attendere. E controverse sono le reazioni della gente: c'è chi pur comprendendone le ragioni ne condanna i metodi e chi condanna a prescindere. La stessa comunità internazionale, chiamata a dare la caccia al naviglio pirata, al suo interno è divisa. La pressione emotiva si fa sentire anche sui sette membri dell'equipaggio che ogni notte condanna a morte centinaia di migranti. Come sono arrivati a decidere di prendere parte a un'impresa di questo genere? Possibile sia solo per denaro? Oppressi dai sensi di colpa, consapevoli di non poter più tornare indietro.
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