I Greci e l'anima. Una trilogia
Il concetto di "anima" ha un inizio nella civiltà occidentale: fu all'incirca all'epoca di Socrate, nel V secolo a.C., che cominciò ad affacciarsi l'idea che l'essenza di un essere umano fosse un'entità invisibile, presente in ognuno, che lo accompagna dalla nascita ed è la sede in cui vengono elaborate le sue esperienze. La parola che i Greci usarono per definire questa entità è psyché. Ma la psyché dei Greci non corrisponde né all'anima cristiana né alla psiche della psicoanalisi. Anche Platone, e prima di lui i tragici, pensavano che esistesse un'anima razionale e una irrazionale ma essi non interpretavano come patologiche le manifestazioni irrazionali. I libri qui proposti trattano tre aspetti dei fenomeni mentali: la follia, il sogno, le passioni. Prodotti sì dall'anima, ma non dalla sua parte cosciente. Ai confini dell'anima parla delle origini del concetto di follia; e tuttavia, per i Greci, la follia non fu solo una malattia ma anche l'incontro con sfere nascoste della mente, in cui si penetra solo quando la ragione tace. Il compagno dell'anima parla del sogno e del mondo onirico che porta ognuno a contatto con un universo parallelo che si muove intorno all'essere umano. I colori dell'anima entrano nel mondo in cui i Greci concepirono il mondo delle emozioni e delle passioni che colorano la vita di ognuno, ora travolgendola, ora innalzandola.