Il cavallo
Al Ward ha sessantacinque anni e vive isolato nella concessione mineraria nel Nevada lasciatagli dal prozio. Ormai da mesi si sostiene solo con zuppe in scatola, caffè istantaneo e ricordi della sua vita da musicista. Una mattina, fuori dal suo rifugio, appare un vecchio cavallo, derelitto e accecato da una malattia agli occhi, incapace di difendersi dagli attacchi dei coyote. A 1800 metri di altitudine, a cinquanta chilometri dal ranch più vicino, tormentato dall’alcolismo e dall’ansia, Al deve decidere cosa fare per se stesso e per l’esausto animale che si è presentato alla sua porta, mentre i ricordi della sua vita da cantautore e chitarrista si fanno sempre più insistenti, dai primi passi sulle pedane dei bar e dei casinò e poi oltre, in un crescendo di piccoli successi e occasioni mancate. Perché convivere con una band e trascorrere gran parte del tempo in tour può essere logorante, e molti dei suoi amici e compagni non ce l’hanno fatta a tenere il passo. A loro, a tutti gli sconosciuti musicisti che rendono più gioiosa la nostra vita, è dedicato il romanzo. E la storia di Al, come quella di tutti i personaggi di Willy Vlautin, ha il ritmo di una canzone triste che si trasforma in una toccante riflessione sulla solitudine, sulla forza d’animo e sulla musica come salvezza.