Della potestà de' prencipi
"Chi ha la maestà - sentenzia Paolo Sarpi nel manoscritto ritrovato "Della potestà de' prencipi" - commanda a tutti e nessuno può commandar a lui; egli non ha obligazione ad alcuno, tutti sono obligati a lui [...]. Il re che è sovrano non commanda secondo le leggi ma alle leggi stesse, resta ubligato solo a Dio e alla sua conscienzia". Paolo Sarpi riflette sulla debolezza dello Stato veneziano, vincolato nel quotidiano esercizio del potere da consuetudini e leggi, civili e canoniche, e dalle più disparate autonomie di ceti e comunità. Ispirandosi alla dottrina della sovranità di ascendenza bodiniana, e anticipando il pensiero assolutistico del maturo Seicento di Robert Filmer e di Thomas Hobbes, il servita veneziano si propone "di metter insieme tutti li buoni instituti per quali un dominio vien governato con quiete in questi nostri tempi assai turbolenti". Il lavoro, che a detta del primo biografo sarpiano, Fulgenzio Micanzio, dava "indizio che dovesse esser la più bella e importante composizione che sia mai comparsa al mondo", non andrà oltre all'abbozzo di alcune decine di carte e a un ampio rubricario di oltre duecento titoli. Data per irrimediabilmente perduta già dagli studiosi del Settecento, questa lucida e rigorosa meditazione sullo Stato moderno viene ora per la prima volta edita, grazie al rinvenimento di una copia secentesca nei fondi manoscritti nella Beinecke Library della Yale University. Con un saggio di Corrado Pin.
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