Mythos. Poema epico-drammatico
"Mythos", in terzine dantesche, conta quasi diecimila versi, e mira, di fronte al dilagare della superficialità, a proporre il recupero di una tradizione in pericolo, quella in cui la poesia era 'un genere' nitido e distinto dalla prosa e i poeti erano detentori di una tecnica e di una sapienza. "Mythos" non è un elenco di racconti tratti dalla mitologia greca, non è una rassegna completa della medesima mitologia, non è un'interpretazione del mito greco in una chiave esclusiva, religiosa, filosofica, storica, antropologica o filologica, è tutto questo insieme, ma è piuttosto una favolosa evasione che dal diletto e dal sogno può ridiscendere alla riflessione universale, che scaturisce dai pensieri legati alle stagioni dell'umanità, nelle quali gli ambiti, che differenziano gli spazi e gli stili del vivere, non sottraggono i protagonisti della storia alle passioni, alla costanza delle incertezze, delle inquietudini, degli interrogativi insoluti. La cornice è cornice vera: orla il quadro per suggerirne il carattere unitario, non ordisce la tessitura, se mai la organizza e la giustifica. Oriòne e Meròpe sono giovanissimi e innamorati, in attesa fiduciosa di un futuro meraviglioso, convinti dell'eternità del loro sogno d'amore e di vita, inconsapevolmente. Si imbattono in un menestrello, musicista e poeta. Egli, attraverso il 'canto' dei miti greci, con opera quasi maieutica, sollecita il disincanto. Oriòne e Meròpe crescono attraverso il mito, prima interlocutori curiosi e un po' passivi, poi compartecipi, prendono coscienza della realtà e tuttavia non rinunceranno alla possibilità di sognare. Lo stesso insegnamento del menestrello, condotto in una dimensione visionaria, va nella direzione irrinunciabile delle illusioni consapevoli.
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