Quindici innocenti terroristi. Come è finita la prima grande inchiesta dell'estremismo islamico
Nel febbraio 2002 polizia e carabinieri arrestano a Roma quindici immigrati musulmani. Si tratta soprattutto di marocchini, ma ci sono anche curdi, un pakistano, un algerino, un tunisino. Alcuni vivono da clandestini nella periferia romana, altri frequentano una moschea nel cuore della capitale. Tutti, secondo le tesi dell'accusa, fanno parte di una cellula terroristica che stava preparando un attentato contro l'ambasciata americana. Cinque mesi dopo l'attacco di Al Qaeda agli USA, l'inchiesta romana solleva clamore. I presunti terroristi possedevano mappe dell'ambasciata, un pacchetto contenente della polvere che si scoprirà essere ferricianuro di potassio, moduli falsi per permessi di soggiorno. Nei colloqui intercettati in moschea, i carabinieri sentono parlare di armi e di veleno. A Washington il dipartimento di stato segue con ansia l'indagine. Ma tra il 2004 e il 2005, nei processi in primo grado e in appello, tutti gli imputati vengono assolti; mesi di indagini e migliaia di intercettazioni finiscono nel nulla. Attraverso una rigorosa controinchiesta, questo libro vuole scavare negli atti giudiziari scoprendo le carte dell'accusa, ricostruendo le testimonianze, segnalando le zone d'ombra sfuggite alle investigazioni.
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