«Architetto sia l'ingegniero che discorre». Ingegneri, architetti e proti nell'età della Repubblica
Il mestiere di chi costruisce e di chi interviene nell'organizzazione del territorio può essere considerato come un qualcosa che appartiene alla storia globale di processi di edificazione. La maggior parte delle costruzioni realizzate in età storica si basa, infatti, su saperi e su forme di organizzazione del lavoro da cui è assente l'architetto inteso (come lo è stato a partire dal Rinascimento quando l'attività degli artisti si sottrae alle arti meccaniche) come colui che progetta un edificio e ne controlla la realizzazione eseguita dai diversi tipi di maestranze. La storia dell'architettura è segnata dalla separazione tra architettura 'colta' e architettura 'minore': ma gli esiti di quest'ultima costituiscono gran parte del tessuto storico che ci circonda. Non a caso dal Rinascimento, e fino al XX secolo, la ricerca di una definizione delle conoscenze teoriche e pratiche necessarie a fondare le competenze di un architetto e a distinguerle da quelle di un ingegnere (o 'inzegnarius', per riprendere il termine quattro-cinquecentesco impiegato per sottolinearne la diversità culturale e professionale) ha dato luogo a una serie nutrita di dibattiti. I saggi contenuti nel volume tentano, nell'ambito di questa problematica, di tracciare un profilo, sia pur sommario, dei ruoli esercitati nei cantieri pubblici, in quelli privati o in quelli religiosi da architetti, da ingegneri, da proti, da maestranze intermedie di cantiere e da periti, e di rintracciare le mansioni svolte dai medesimi professionisti all'interno (o a fianco) delle magistrature preposte all'organizzazione del territorio e delle città nell'età della Repubblica veneta: un periodo storico caratterizzato da realtà complesse, molteplici e contraddittorie (sia politicamente che culturalmente), dove non sempre sono cercate omologazioni con la Dominante ma tutt'al più se ne condividono determinate tendenze, secondo fasi cronologicamente discontinue.
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