La canzone di Achille
Dimenticate Troia, gli scenari di guerra, i duelli, il sangue, la morte. Dimenticate la violenza e le stragi, la crudeltà e l'orrore. E seguite invece il cammino di due giovani, prima amici, poi amanti e infine anche compagni d'armi – due giovani splendidi per gioventù e bellezza, destinati a concludere la loro vita sulla pianura troiana e a rimanere uniti per sempre con le ceneri mischiate in una sola, preziosissima urna. Madeline Miller, studiosa e docente di antichità classica, rievoca la storia d'amore e di morte di Achille e Patroclo, piegando il ritmo solenne dell'epica alla ricostruzione di una vicenda che ha lasciato scarse ma inconfondibili tracce: un legame tra uomini spogliato da ogni morbosità e restituito alla naturalezza con cui i greci antichi riconobbero e accettarono l'omosessualità. Patroclo muore al posto di Achille, per Achille, e Achille non vuole più vivere senza Patroclo. Sulle mura di Troia si profilano due altissime ombre che oscurano l'ormai usurata vicenda di Elena e Paride.COME COMINCIAMio padre era un re, figlio di re. Come la maggior parte di noi, non era molto alto e aveva la corporatura di un toro, era tutto spalle. Sposò mia madre quando lei aveva quattordici anni, dopo che la sacerdotessa gli aveva assicurato che sarebbe stata feconda. Era un buon accordo: lei era figlia unica e tutte le fortune del padre sarebbero andate a suo marito. Fu solo durante le nozze che lui si rese conto che mia madre era debole di mente. Il padre di lei aveva fatto in modo di tenerla velata fino alla cerimonia e mio padre aveva accettato di buon grado. Se fosse stata brutta, c'erano sempre le schiave e i giovani servitori. A quanto si dice, quando alla fine venne scostato il velo, mia madre sorrise. E fu così che mio padre capì che era idiota. Le spose non sorridono. Quando partorì me, un maschio, mio padre mi sfilò dalle sue braccia e mi passò a una levatrice. Mossa a compassione, la donna diede a mia madre un cuscino da stringere al mio posto. Lei lo abbracciò. Non parve notare alcuna differenza. Ben presto, mi rivelai una delusione: piccolo e sottile. Non ero veloce. Non ero forte. Non sapevo cantare. La cosa migliore che si poteva dire di me era che non ero cagionevole. I malanni e i crampi che affliggevano gli altri bambini non mi sfioravano nemmeno. Questo non faceva altro che insospettire mio padre. Ero forse una creatura non umana? Mi studiava accigliato, mi teneva d'occhio. Quando sentivo il suo sguardo su di me, mi tremavano le mani. E poi c'era mia madre, che non era capace di bere senza versarsi il vino addosso.