Anche gli ebrei sono cattivi
Henri Van Blarenberghe racconta cosa l'ha spinto a uccidere; due gemelli uniti dalle spalle in giù coltivano il loro amore per la matematica in una sorta di inevitabile matematizzazione della vita; un gruppo di malati di mente fugge dal manicomio trovando in cambio prima la solitudine della montagna poi il carcere. Tre vicende in cui i personaggi, nessuno escluso, si confrontano con la complessità del reale, con le proprie colpe e ambiguità. Personaggi che agiscono fuori dagli schemi, uomini che compiono delitti orrendi senza esserne consapevoli, che cercano di fuggire il male e rincorrono la normalità senza mai riuscire a capire perché ne sono esclusi. Sono uomini che lasciano che le cose accadano, cui spesso manca la voce, o forse solo le parole che gli altri si aspettano di sentire, per i quali non è possibile lasciar dietro la pazzia neppure scappando. Il risultato è una scrittura di pensiero, dai temi emotivamente forti, dalle tinte scure e sanguigne, con una struttura complessa, soprattutto nel terzo racconto per l'uso di un originale monologo interiore polifonico che crea una commistione straniante di logica e poesia.
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