Botteghe di scrittura per il cinema italiano. Intorno a «Il bandito» di Alberto Lattuada

"Ad un certo momento volevamo aprire una specie di bottega perché venivamo continuamente con cose da aggiustare come si fa con le biciclette ... ". La dimensione artigianale della sceneggiatura nel cinema italiano del secondo dopoguerra rivive nelle parole di Suso Cecchi d'Amico, restituendo alla memoria il clima di fervida collaborazione che regnava in quegli anni. Uomini e donne di diversa formazione culturale, provenienti da esperienze eterogenee, ma uniti da un''affinità elettiva',si ritrovano, fianco a fianco, per rinnovare, sulle ali dei neorealismo, il cinema italiano. Nelle stanze dell'albergo Maderno, nella casa di Amidei, o seduti ai tavolini di una vecchia osteria sceneggiatori e scrittori 'prestati' al cinema si scambiano idee, battute, riflessioni, stringendo sodalizi destinati a durare lo spazio di un film o tutta una vita. La bottega, quindi, è il luogo di incontro, e spesso di scontro, di amicizie e inimicizie, di furiose litigate e di repentine rappacificazioni, nel quale la vita e il cinema scorrono paralleli e spesso convergono. E' in questo clima che matura la vicenda de "Il bandito" (1946) di Alberto Lattuada, esemplare prodotto di molteplici botteghe di scrittura: da quelle che inizialmente ne hanno messo a punto la storia a quelle che, a distanza di un decennio, l'hanno riscritta sotto forma di cineromanzo. Un insieme di scritture - di cui il volume offre una ricca testimonianza attraverso le pagine della sceneggiatura manoscritta e di quella dattiloscritta nonché attraverso le fotografie di scena - che si rigenerano di volta in volta per raccontare sempre la stessa storia del reduce che diventa bandito. O meglio, 'quasi sempre' la stessa storia, perché negli angusti interstizi degli scarti e delle varianti si nascondono dieci anni del cinema italiano, dal neorealismo alla commedia all'italiana: dieci anni della nostra storia.