Artemisia
All'interno dell'ambizioso progetto delle Nove Muse "Artemisia" segna nell'autunno del 1759 al teatro San Luca - il ritorno di Goldoni alla tragedia, già frequentata con successo negli anni del San Samuele, e ora rimessa al centro di una nuova riflessione drammaturgica e musicale intorno a passioni più moderne e conturbanti. Domina in scena il lugubre e grandioso mausoleo del re defunto, a cui la vedova regina di Caria tributa un lutto inestinguibile; la minaccia un pretendente innamorato e feroce e la seduce un pastorello sconosciuto in cui riconoscerà in extremis il figlio perduto, che riscatterà il regno. Goldoni, memore di Metastasio, si serve di una serie di vecchi utensili di grande effetto, e li combina con due best sellers tragici sempre in auge nei cartelloni: la Merope di Maffei e la Semiramide di Voltaire. L'exemplum edificante del materno sublime e la fosca leggenda della regina nera, amplificati da un immaginario teatrale lungo due secoli, sono rimescolati con audace agonismo, sfiorando da vicino limiti pericolosi, ma esibendo anche un'impeccabile moralité di facciata, che inganna i censori, ma non - crediamo - gli spettatori, capaci di riconoscere tutti i rimandi allo scabroso tema dell'incesto annidati nel sottotesto recitativo. Tragedia di lieto fine, l'"Artemisia" goldoniana riscuote un successo cospicuo e fa da apripista agli ultimi grandi capolavori veneziani, per poi inabissarsi nel silenzio della storia.
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