Finché morte non ci separi
Asolo, 1919. Un albergo diventa il palcoscenico su cui danzano le esistenze di uomini e donne, burattini i cui fili vengono mossi dalla storia, quella grande, della guerra. In qualche modo tutti loro sono il risultato di fattori in moto quasi perpetuo, così imponenti da far perdere il controllo. Un dipinto impietoso ma al contempo edificante, una visione parziale di un quadro molto più grande, che contiene al suo interno tutte le caratteristiche che appartengono all'intero. Si dipanano storie, ma anche pensieri puri, purezza data dall'innocenza degli uomini, che come formiche lavorano affinché la Terra giri, di fronte alla follia collettiva che prese il nome di I guerra mondiale. Davide Fent ci conduce nel carnaio dei corpi straziati, ma se prima c'erano carne e sangue, ora rimangono esistenze implose, frantumate, interrotte. La I guerra mondiale segnò la perdita dell'innocenza per gli uomini del '900, e assistiamo assorbiti e attoniti alla confusione mortifera di chi rimane, all'entusiasmo infantile di chi nella morte ritrova l'amore per la vita.
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