Non è facile morire
Quando riaprii gli occhi, mi accorsi che ero al chiuso, raggomitolato su me stesso in posizione fetale; sentii una fitta lacerante a una coscia, poi dolori e bruciori un po' ovunque. Cercai di ripensare agli ultimi avvenimenti: l'ultima cosa che mi ricordavo era che stavamo trascinando via Abdul Samad, seguace del defunto Bin Laden, che avevamo appena catturato; io e altri due militari chiudevamo il gruppo... improvvisamente uno scoppio, una fiammata, quindi il buio. Provai ad alzarmi, ma mi accorsi che non potevo usare le mani perché erano legate; riuscii a mettermi in ginocchio, nonostante i dolori lancinanti che provavo ovunque, e infine, con uno sforzo bestiale, in piedi. Mi sembrò di essere in una specie di grotta, senza apertura verso l'esterno ma chiusa da una pesante porta di legno con una finestrella a sbarre, posta ad altezza d'uomo; mi trascinai, perché camminavo a fatica, e guardai fuori: non vidi nessuno e non sentii nessun rumore. Evidentemente ero stato ferito dall'esplosione, poi i talebani mi avevano preso, ed eccomi qui; sentii un brivido nella schiena: non ero nelle mani di uomini che andavano tanto per il sottile.
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