Vetro veglia casa tintinnio
La delicatezza d'accento che contrassegna i versi di Francesco Balsamo sembra miracolosamente sfuggita ad alcuni lirici dell'Antologia Palatina. Il continuo stupore, quella sorta di frugalità che contraddistingue le sue tematiche, fatte di aria e di cielo, di «alberi confidenti» e finestre, di rami guadagnati e pesci morti, si manifesta attraverso distici che si rinnovano a ogni sequenza con un respiro che ha la naturalezza di quella linea poetica definita per convenzione antinovecentista e che annovera figure del calibro di Saba, Giotti e Penna, arrivando fino a Vivian Lamarque. Ma le liriche di Balsamo sembrano operare uno scarto deciso rispetto a quel tipo di poetica, essendo sempre sul punto di disgregarsi in virtù di una frattura quasi insanabile che si dissimula nel testo, rifacendosi a un gioco allucinatorio che ritorna immancabilmente al punto di partenza: «è ancora seduto / la sua nuca è un numero dispari». A volte l'autore si limita, incapace di contenere la febbre che gli divora gli occhi, a fare l'inventario di ciò che lo circonda, avvalendosi per comporre le sue scale cromatiche di varianti infinitesimali, ma sempre con una grazia e una discrezione rare: «casa tintinnio / vetro caviglia / vetro veglia / casa tintinnio». Questi impromptus di sapore schubertiano si impongono per la loro innocenza e la loro sfrontatezza, delineandosi sulla pagina con la cadenza di un'invocazione pagana che permetta alle parole di «cospirare col mare». ( p.d.p.)
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