Rovorosa

Rovorosa

Ma anche i colori mi piacciono. Calzano a pennello in maniera incredibile alle cose. Sempre la sfumatura che serviva giustamente e talvolta per di più la luce vi si posa sopra. Non dico questo per vantarmi dato che porto un nome da colore. Così parlerebbe l'arancio, ma io non sono un frutto. Né un fiore, benché il mio nome sia anche un nome da fiore. Né Viola né Fucsia, mi chiamo Rosa io. Ma Mangiaferro per scherzare ogni tanto, quando mi arrampico su di lui, mi chiama Rovo e di colpo è il nome di quel cespuglio spinoso e fiorito a starmi meglio, lo stesso che ho mantenuto, Rovorosa. Se Rovorosa non si premura di chiudere il lucchetto del suo taccuino segreto, lo fa proprio per non lasciarsi alle spalle tutto ciò che contiene. Stando a quanto crediamo di sapere, vi racconta la sua vita felice con Mangiaferro -il suo speciale papà - fino al giorno in cui, in seguito a circostanze che implicano un vicino di casa da una gamba sola, una strega, quattro cinciallegre e un pesce d'oro, questo romanzo non diventa il diario di una ricerca disperata. L'alta antichità dell'infanzia, alla maniera di Chevillard.
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Recensione del libro fornita da lottavo.it

Di Geraldine Meyer

Rovorosa è, prima di tutto, una elegia della parola, della sua potenza, della sua forza salvifica anche quando ci porta a perderci. E a far perdere anche gli altri. Sì perché chi legge questo libro ha, spesso, una sensazione di disorientamento, un po’ come accade quando si sogna, sapendo che ciò a cui si sta assistendo è vero e non vero allo stesso tempo...

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