Provocazioni missionarie. Per dare umanità al futuro
Un marinaio con lo sguardo all'orizzonte e la mano al timone. Un marinaio vestito di nero. E, infatti, non si tratta di un marinaio, ma di un missionario, anche se il suo mestiere non è diverso da quello di chi scruta le stelle per condurre la barca in porto. Un missionario - o un marinaio - che dopo sessant'anni di servizio tra le coste del Pacifico e gli altipiani andini tira le somme, e si chiede qual è il futuro della missione. Annusata l'aria che tira, il missionario decide che è il momento delle provocazioni. Provocazioni secche, di quelle che non risparmiano nessuno, perché provocare è un verbo cristiano. Gesù ha sempre provocato, a cominciare da Betlemme, e se il cristiano non fosse un provocatore, non sarebbe un cristiano vero. «Andate da tutte le genti, portate la buona notizia fino agli estremi confini della terra», un mandato che non è facoltativo. Ma quanti oggi lo mettono in pratica? E chi parte verso quei confini, non è forse lasciato troppo solo? E allora provochiamo, con rispetto, con prudenza, con amore, per ridare essenza al mandato di Gesù. Facciamo perdere il sonno, lanciamo sfide, mettiamo in crisi le coscienze. Attenzione, però: provocare comprende anche accettare noi stessi le provocazioni, quelle che ci vengono direttamente dal Vangelo. Costi quello che costi.
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