Nel nome di Rosa

Nel nome di Rosa

Ad ispirare questo saggio è stato un diruto eremo di epoca bizantina da sempre noto come Cella di Santa Rosa. Il flebile corso d'acqua che gli scorre di fronte si chiama Fosso di Santa Rosa. Gli esigui resti di affresco all'interno dell'ipogeo di quella che ne fu la cappella o parete absidale, sono disseminati di scritte e graffiti inneggianti ancora Lei. Eppure questo apologetico luogo non si trova dove ci si potrebbe aspettare, vale a dire Viterbo o immediate vicinanze, bensì in una profonda forra in quel di Vasanello, paese dall'altra parte del Cimino, distante una trentina di chilometri e del tutto alieno al culto di questa straordinaria figura. In buona sostanza il toponimo, l'idronimo e i graffiti sono da considerarsi frutto di un retaggio folkloristico, una contaminazione culturale priva di qualsiasi fondamento, o rappresentano piuttosto una reale reminiscenza del transito in questo luogo di Rosa da Viterbo? Così fosse, in un'epoca in cui trenta chilometri rappresentavano un vero e proprio viaggio, cosa potrebbe averla portata così distante da casa? Attraverso quel poco che di lei sappiamo, si può supporre che soltanto in occasione dell'esilio cui fur condannata dalle autorità ghibelline della città, nel dicembre 1250, la fanciulla si allontanò da Viterbo come mai prima nella sua giovane vita. Invero di non troppi chilometri, visto che si parla di Soriano nel Cimino e Vitorchiano, ma il punto è proprio questo: siamo poi così sicuri che questi paesi siano stati le sue uniche due tappe? Affascinante la chiave di lettura che questo saggio fornisce in proposito.
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