Zero. Breve storia di una metamorfosi geometrico esistenziale
Un uomo torna a casa dall'ufficio. Spezzato da una giornata di lavoro. Dodici ore: non ventiquattro, come anela, ma pur sempre qualcosa. Compresi sabato e domenica! Privilegio raro, faticosamente raggiunto, implorato. Perché, che fare di una giornata vuota, di una notte insonne, attendendo il lavoro? Ritorna piegato, curvo, le mani che toccano terra, da quadrumane: un cerchio. Rotola. Uno zero. Inciampa nella sera. Raccoglie una cicca con tracce di rossetto: gettata anzitempo, attesa d'incontri, di baci. Se ne appropria. La fuma fino al filtro. S'impadronisce - orrendo crimine! - di una cicca, di una storia che appartiene a tutti: "patrimonio inalienabile dell'umanità". Rotolando sbatte contro il muro, si rialza, prosegue nell'infinito rotolare di un cerchio, di uno zero. Nessuno, Ulisse che torna ad Itaca, in una casa che non è casa, in un giorno di cui nulla ricorda. E se fosse un giorno feriale? Se fosse rimasto assente dal lavoro? Da quanto tempo? Rotola, sbatte, si rivolta come un copertone. Come quando un cagnolino lo colse in flagrante furto d'identità, mimetizzato in un albero. Uno zero. Nessuno. Se questo è un uomo! Non c'è limite all'abbrutimento, alla perdita d'identità, nell'imperativo assoluto del produrre, del lavoro fine a se stesso - la terra sotto l'asfalto, i cieli confinati nelle fantasie infantili d'indiani e giacche blu, d'assalti e disperate difese e parole che non valgono un segnale di fumo. Certamente aveva ragione quel bambino a rifiutarsi di crescere. Divenuto suo malgrado adulto, eppure ridotto ad un segno geometrico, asservito al ruolo di "contabilizzatore unico degli sprechi aziendali" - l'ufficio, "unica patria e galera possibile" - evaso, infine, per un imprevedibile incontro, ma "attratto e assorbito nel gorgo" del pensare, ripercorre a ritroso la vita, fino ai primi anni, al liquido amniotico, fino a riconquistare "l'unità primordiale dell'Essere che separa esistenza e non esistenza".
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