Il poema di Gilgamesh paradigma della vicenda umana
Terminata la composizione di un'opera musicale ispirata ai versi dello scriba babilonese Sinleqiunninni, l'autore ci narra e rivela qui, il suo approccio all'Epopea Babilonese. Le diffidenze iniziali, le barriere emotive, i pregiudizi di fronte ad un'opera ritenuta minore rispetto ai poemi epici greci e poi furtivo ed inesorabile il risveglio della coscienza e la profonda ammirazione per il Canto di Gilgamesh. A fargli da Virgilio lo studioso Giovanni Pettinato. L'autore ci guida alla scoperta del leggendario re di Uruk, figlio di padre umano e madre divina, colui che "vide ogni cosa, ebbe esperienza di ogni cosa, in ogni cosa raggiunse la completa saggezza" nella sua tormentata ricerca dell'eternità e nella consapevolezza inevitabile della morte, il senso della vita, poiché come lui: "Con ogni mezzo l'uomo tenta di affermare la propria esistenza e di sconfiggere la morte che lo insegue da vicino, ma nulla potrà affrancarlo dal destino che lo sovrasta ed egli, sconfitto, sarà costretto a rassegnarsi ed accettare la sorte ineluttabile. Non c'è sulla terra dramma più terribile e sinistro di questo, tanto crudele e tanto legato alla natura stessa dell'uomo, da ripresentarsi sempre uguale in ogni tempo e luogo, in ogni civiltà e cultura".
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