Quanta globalizzazione possiamo sopportare?
Un approccio diverso alla globalizzazione: non un'altra analisi socioeconomica, ma un viaggio nella storia del pensiero sulle tracce del legame fra l'uomo e la dimensione della totalità . Rudiger Safranski ripercorre questo tema mettendone a fuoco gli esiti contemporanei: se per lungo tempo il singolo ha demandato la gestione del suo rapporto con la globalità a un'élite di 'specialisti' (religiosi, filosofi, politici), dalla fine del Settecento invece quando l'individuo, il cittadino, diventa per la prima volta attore della Storia - ha inizio un processo di identificazione della totalità con la sfera politica ed economica: una percezione ristretta della totalità che conduce all'idea che ne abbiamo oggi. Se infatti politicizzazione ed economismo sono strumenti per incidere sulla realtà , ne hanno però limitato gli orizzonti, tanto che non c'è da meravigliarsi, dice Safranski, se in quest'epoca di abbattimento dei confini "riusciamo a pensare alla globalità solo con un senso di angoscia e di angustia". La reazione più comune a questo disagio sembra essere il rifugiarsi nell'ideologia, con tutte le forzature che Safranski individua nei vari tipi di 'globalismo'. Da una parte neoliberalismo e antinazionalismo, che vedono con favore l'abolizione delle distanze geografiche e culturali e la generalizzazione delle pratiche economiche; dall'altra la preoccupazione per le nefande conseguenze della globalizzazione, che può approdare al pacifismo o degenerare in fantasie apocalittiche e salvifiche (il ritorno dei fondamentalismi religiosi). Ma nemmeno i più sobri approcci alla critica della globalizzazione riescono a neutralizzare il senso di impotenza che l'odierna globalità ci impone. Andrà dunque percorsa un'altra strada, cercando di potenziare il 'sistema immunitario culturale' dell'individuo. Difenderci dall'eccesso di sollecitazioni e informazioni che non riusciamo a elaborare, ritrovare spazi individuali nella dimensione sociale è possibile soltanto se torniamo a riflettere su noi stessi: solo una persona profondamente consapevole della propria umanità può aprire una radura di civiltà nella foresta della civilizzazione.
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