Indro. Due complici che si sono divertiti a vivere e a scrivere
"Il nostro è stato un caso unico nella storia del giornalismo italiano", afferma Giorgio Soavi. Ma il primo incontro con Indro Montanelli, verso la fine degli anni '50, non fu dei più cordiali. Poi le cose cambiarono e tra loro si stabilì un curioso patto non scritto di belligeranza fatto di lazzi, risse verbali e quel pizzico di sana cattiveria che dà sapore a persone, situazioni e cose. Palcoscenico prediletto, quello delle "Lettere al Direttore" sul "Giornale" che Montanelli fondò e diresse per vent'anni (e al quale Soavi trovò il nome), dove i duellanti si scontrarono senza esclusione di colpi sul terreno dello scherzo e di un'ironia anche feroce. Il gioco li divertì al punto che non seppero più farne a meno anche al di fuori dell'alveo professionale, dove continuarono a rappresentare - non solo in punta di penna - uno spettacolo diventato per entrambi una virtù necessaria acquisita per caso. Ciascuno dei due poteva farsi beffe dell'altro, prenderlo in giro con affetto e malizia, come in un gioco teatrale: scherzare seriamente sugli aspetti più plateali di quella commedia che è la vita divenne il rito di un'amicizia profonda. Le ragioni di questo quotidiano divertimento stavano, molto semplicemente, nella libertà di spirito, talora intinta nel fiele dell'eleganza, cui nessuno dei due volle mai rinunciare. Nessuno li costrinse a un esercizio che aveva il proprio fondamento nella comune insofferenza per la banalità. Ma queste pagine, scritte tra passato e presente con un soffio di leggerezza surreale, in cui l'autore è ben consapevole del suo ruolo di 'spalla' nei confronti del grande giornalista, ci consegnano un Montanelli visto, da un osservatorio privilegiato, in tanti episodi (e idiosincrasie) della vita di ogni giorno. La sua figura giacomettiana, con "quella parete di ossa che era il suo volto", la sua pazientissima insofferenza, lo sguardo a un tempo deciso e indifeso, escono vividi dagli aneddoti e dalle conversazioni che Soavi riporta, insieme ad alcune lettere dall'aldiquà in cui la nostalgia è stemperata dal sorriso: come se Indro fosse ancora qui, durante una passeggiata al tepore del ricordo.
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