Perché non possiamo non dirci mafiosi
Anzichè andare dall'analista, Alfio Caruso ha usato la scrittura per tirare fuori ciò che nessun altro prima di lui aveva osato dire sui siciliani. Lo fa da innamorato perso della sua terra, e questo viaggio alle radici della propria natura gli è costato angoscia e sofferenza. Sebbene mitigato dall'ironia, il tono dell'invettiva cresce fino a comporre un doloroso urlo di ribellione contro i galantuomini, i gattopardi, i compari, gli Amici, i Bravi Ragazzi, gli "sperti e malandrini" che da tremila anni rubano il futuro a quello che una poetessa inglese del XIX secolo definì il paradiso abitato dai diavoli. Nel raccontare l'amaro destino di un popolo vinto da tutti e conquistato da nessuno, Caruso osserva che per un intreccio d'ignoranza, di cecità, di arretratezza civile gli sfruttati non hanno mai ambito a eliminare gli sfruttatori, bensì a fame parte. Storia, costume e cibo si mescolano e ciascuno dà sostanza all'altro. Ma si è perso lo stampo che produsse Verga e De Roberto, Pirandello e Majorana. L'odio purissimo tra siciliani che ha segnato le vicende italiane, l'isola usata come fogna degli affari sporchi, l'identificazione di quel Partito Unico Siciliano capace al momento opportuno di trascendere le diverse sigle politiche e di amalgamare gli interessi più svariati, l'immanenza della massoneria, il dilagare dell'abusivismo edilizio rappresentano le tante facce della stessa medaglia. Così episodi e personaggi magari distanti tra loro mille anni vengono letti e legati dall'autore. Con una narrazione circolare dove ogni fine è anche un inizio, egli si misura con la verità più incontrovertibile: prima si è siciliani e dopo si diventa mafiosi, dunque la mafia esiste perchè esistono i siciliani. Ciò comporta una contiguità giornaliera tra la disonorata società e la presunta società civile: nel mazzo delle tante profezie azzeccate da Sciascia, la più azzeccata è quella sulla linea della palma avanzante ogni anno lungo l'Italia. Un'Italia che appare cinica, voltagabbana, amorale, fedifraga, melensa, becera, infida, incapace di tenere la schiena dritta, ben rappresentata da quei funzionari pronti a trescare con la mafia che dovrebbero combattere. Un'Italia che fa dire a Caruso: "Pensavamo di essere l'eccezione che sarebbe stata costretta a uniformarsi alle regole, temiamo invece di essere la variabile appena appena abbozzata della norma".
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