Relitti
Philippe, ricco e annoiato borghese parigino, vive con Henriette, una moglie che non ha mai amato, e con la cognata Eliane, devota vestale di un focolare domestico spento da tempo. Passa le sue giornate in ozio a meditare sul romanzo che non scriverà mai, sul quadro che non porterà mai a compimento. Si sente votato a un più alto destino, ma è soltanto un velleitario egoista in cui non arde una scintilla d'amore. Lontano dal teatro della vita, lascia che i giorni gli scorrano accanto senza sfiorarlo, incurante della passione di Eliane che, in silenzio, si strugge d'amore per lui. Finché un giorno, vagabondando sul Lungosenna, Philippe ha conferma d'un sospetto che covava da tempo: egli è un vile. Una popolana cenciosa che si oppone invano alla violenza del marito ubriaco lo chiama dalla sponda del fiume per chiedere il suo aiuto, e lui la ignora. Peggio, si sottrae alla sua vista e scappa via. Quella nuova scoperta non ha però effetti immediati sull'ineffabile dandy, che continua imperterrito a coltivare il proprio narcisismo e la propria umana inconsistenza: nulla deve turbare la quiete apparente, l'armonia fittizia di un mondo che crede di bastare a se stesso in una Parigi incantata, fosca e sublime, che è la protagonista occulta del romanzo. Incomparabile figura di pusillanime, Philippe incarna i vizi di una ricca borghesia che trova nel primo Julien Green uno spietato fustigatore. Non stupisce dunque che questo romanzo (apparso nel 1932) sia stato subito 'rimosso' dalle coscienze di una classe che cercava disperatamente di risollevarsi da una crisi non soltanto economica e, proprio nello stesso anno, subiva sul fronte intellettuale i feroci attacchi di Paul Nizan e dei suoi "Cani da guardia". In verità , Julien Green non si limitava a puntare un indice accusatore sui difetti della sua stessa classe, ma additava una via di scampo, una speranza. Quella stessa che, per il pavido e inetto Philippe, si incarna nel figlio concepito nell'odio, il quale - quasi [...]
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