Casa di guerra
Ciò che accomuna le persone raffigurate nella fotografia ingiallita da cui muove il racconto è la casa che, alle loro spalle, in parte s'intravede, quinta teatrale fissa del palcoscenico sul quale si avvicenderanno i personaggi che per un giorno, per settimane o per anni la frequentarono o l'abitarono. Lo sfondo è il Trentino, crogiolo e punto d'incontro di genti, culture e tradizioni dissimili, su cui getta la sua luce cruda l'ultimo conflitto mondiale. Uno dopo l'altro gli ospiti della casa prendono voce e colore, animandosi sullo scenario così allestito, ed evocano le proprie storie personali, tra loro diversissime ma tutte confluenti in quell'unica e comune storia di sopravvissuti alle passioni e alle tragedie grandi o piccole venute, con la guerra, a sconvolgere le tranquille abitudini della loro vita di frontiera, ad aprirvi inquietanti interrogativi. Chi sono "gli uomini che scendono dalle montagne a mangiare in cucina o per passare la notte in barchessa"? Chi è lo strano personaggio un po' tedesco e un po' italiano che bisogna chiamare "signor Palloni"? Chi tradisce Archie e Colombo, i due paracadutisti inglesi nascosti nella casa con la ricetrasmittente? L'"om dei bissi", che si aggira per le montagne con la sacca di cuoio e la forcella in mano, che tipo di "serpenti" va cercando? E perché la vecchia levatrice del paese, a notte fonda, si reca alla porta dell'attempata signorina Firmiam? Le vicende intrecciate l'una all'altra si ripetono per bocca dei vari personaggi - che si esprimono, com'è naturale, in una lingua che è anch'essa "di frontiera" e quindi ricca di suggestione -, ma ogni volta l'immagine si pone meglio a fuoco, a ogni intervento i particolari si precisano, le sfumature prendono corpo, ciascuno contribuisce con la propria versione dei fatti a far sì che alla fine si configuri una "realtà" e, con essa, forse la verità.
Momentaneamente non ordinabile